
CHI SONO
Sono una psicologa clinica, vivo a Torino dal 2013 e
provengo da una cittadina laziale in provincia di Roma.
Il mio percorso di studi si è svolto tra Roma, dove ho conseguito la laurea magistrale in Psicologia dello sviluppo, nell’anno 2013, e Torino, dove ho svolto il tirocinio formativo in ambito clinico presso l’ASL di San Mauro Torinese, all’interno di un Centro Diurno dell’Area Psichiatria Adulti, e presso un Laboratorio Supportato di falegnameria e ceramica, centro lavorativo e ricreativo per pazienti psichiatrici adulti. Sempre a Torino ho sostenuto, nel 2016, l’Esame di stato e sono attualmente Psicologa iscritta all’Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte con numero 8110.
Intenzionata ad arricchire il mio percorso formativo e professionale mi sono iscritta, nell’anno 2018, alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia sistemica-relazionale Mara Selvini Palazzoli. Attualmente frequento l'ultimo anno e svolgo il tirocinio presso un Centro di salute mentale della città di Torino, dove mi occupo della presa in carico psicologica di pazienti adulti.
Nell’anno 2018 ho conseguito il titolo di “Esperto dei Disturbi dello spettro autistico”, grazie alla frequentazione del Master di II Livello “I disturbi dello spettro autistico secondo l’approccio gestaltico”, organizzato dall’Istituto di Gestalt HCC Italy (sede di Milano). Questa scelta è nata dall’esperienza pluriennale come operatrice di comunità nell’ambito dell’autismo, e delle esperienze come educatrice e affidataria di soggetti in età evolutiva e adulti che presentano tale disturbo.
Attualmente lavoro a Torino come libera professionista.
IL MIO APPROCCIO
Quello che avviene tra paziente e psicologo non è altro che un incontro: il primo è portatore di una domanda d’aiuto motivata da una sofferenza/difficoltà, mentre il secondo mette a disposizione la sua professionalità al fine di accogliere tale domanda e di darvi una risposta il più possibile personalizzata.
L’obiettivo che viene perseguito nella fase preliminare (quella che va dal primo contatto ai primi colloqui) è quello di analizzare e definire la domanda d’aiuto, quindi di comprendere e di dare un significato al sintomo/problema portato dal paziente, che è il modo (disfunzionale in quanto fonte di sofferenza) attraverso cui questi esprime e, al contempo, si difende dalla sofferenza. Ciò è possibile ricostruendo la storia di vita del paziente, collocandola nel più ampio contesto affettivo e relazionale di riferimento, presente e passato, cercando di individuare possibili connessioni tra l’insorgenza/evoluzione del malessere e gli eventi della sua vita (citando Bowen “Facendo parlare il calendario…”), e di comprendere i possibili effetti di quest’ultimi sullo sviluppo del paziente.
L’approccio sistemico, nella sua versione più recente, ovvero relazionale – individuale, nasce dalla voglia di riscoprire la persona nella sua complessità, grazie alla raggiunta consapevolezza che per accogliere, comprendere e curare la sofferenza dei pazienti bisogna “uscire dai propri abiti comodi”, dai propri modelli preconfezionati e rigidi, e abbracciare l’incertezza e la ricchezza di un’integrazione di modelli differenti. Il punto di partenza è sempre la valutazione del funzionamento individuale del paziente, ma questo viene riletto alla luce delle relazioni, passate e presenti, con le figure significative della sua vita, per capire se, e in che misura, esse hanno rappresentato, o rappresentano, un limite o una risorsa. Un aspetto chiave consiste nella posizione (ruolo) che il paziente occupa, o ha occupato all’interno di tali relazioni, nel modo in cui l’ha gestita o la gestisce, e nell’attinenza che tutto questo ha con il malessere che l’ha portato a chiedere aiuto ad un professionista della salute mentale.
La premessa teorica è che l’uomo è un animale sociale, nasce già in relazione con il mondo, ed è impensabile “isolarlo” e “analizzarlo” senza considerare il contesto affettivo e sociale in cui è inserito. Per tale motivo, quando incontro un nuovo paziente ho sempre a mente le “persone della sua vita”, passata e presente, e quando è utile e possibile, d’accordo con il paziente stesso, le invito in seduta (in questo caso si parla di allargamenti in un percorso psicologico individuale) come “testimoni” o risorse, ovvero come fonti informative e facilitatori del percorso. E questo nell’ottica di aiutarle a diventare dei supporti concreti nella vita quotidiana del paziente, che potrà così contare non solo sullo psicologo, ma su altre figure di riferimento.
Sempre nell’ottica della complessità, incontro il paziente avendo a mente una specie di mappa mentale per orientarmi ed entrare nel suo mondo interno, ai fini di una comprensione più completa e approfondita: durante il percorso mi avvalgo di una serie di strumenti, primo fra tutti il genogramma, ovvero una sorta di albero genealogico semplificato che mi permette di collocare il paziente all’interno di una storia relazionale e famigliare, e che considera le 3 generazioni (nonni, genitori, figli) .
Il punto di forza del mio approccio consiste nell’adottare un “andamento per andirivieni”, ovvero nello spostarsi costantemente dalla relazione diadica in seduta alle appartenenze relazionali del paziente. Lo strumento principale dell’intervento rimane sempre la relazione con la persona, all’interno della quale lo psicologo ricopre il ruolo di facilitatore/catalizzatore del cambiamento, mettendo a disposizione del paziente la propria “mente compagna”, favorendo e stimolando riflessioni nuove rispetto agli eventi che quest’ultimo si trova ad affrontare nella vita quotidiana.